Le app che scarichiamo sui nostri cellulari ci facilitano la vita e ci offrono comodi servizi, che però non sono gratuiti.
Anche se ufficialmente l’applicazione non ha costi di attivazione e non richiede abbonamenti, noi cediamo ai suoi titolari una fetta della sovranità sui nostri dati, cioè forniamo nostre informazioni personali, rinunciando a parte della privacy che a parole ci viene promessa quando accediamo a quelle funzionalità.
Secondo un recente report di Mozilla, molte app per la salute mentale e per le preghiere mettono seriamente a rischio la privacy degli utenti.
La società ha testato 32 diverse app che aiutano a rilassarsi, a gestire l’ansia e a ritrovare se stessi.
Solo tre di queste hanno superato i test, mentre le altre 29 presentano problemi concreti per la nostra riservatezza.
Stati d’animo, pensieri, emozioni intime, dati biometrici entrano nella disponibilità dei gestori di tali applicazioni, che collezionano più dati del dovuto, evidenziando davvero scarsi livelli di sicurezza.
Durante i lockdown si è registrato un vero e proprio boom di app per la salute mentale, che hanno fornito assistenza psicologica a tante persone fortemente provate e destabilizzate dall’isolamento, la perdita di lavoro e contatti, la paura di contrarre il virus.
Gli scompensi psichici sono stati notevoli.
D’altronde, già un anno fa, uno studio pubblicato sul British Medical Journal rivelava che le app di salute e fitness, che offrono programmi di allenamento personalizzati e tracciamento del peso, delle calorie e dell’attività fisica quotidiana, monitoraggio del ciclo mestruale ed anche della salute mentale, presentano rischi per la privacy di chi le installa sui dispositivi mobili.
Quella ricerca dimostrava che gli inserzionisti hanno buon gioco nell’accedere ai dati sensibili degli utenti, con inevitabili ripercussioni in termini di profilazione per scopi di marketing.