Il medico può usare Whatsapp o altre app di messaggistica istantanea per condividere le informazioni dei pazienti?

In un contesto sanitario sempre più congestionato, l’utilizzo di questa applicazione si dimostra come una soluzione efficace per ridurre il numero di visite mediche non necessarie.

Infatti, sebbene l’impatto clinico di quest’app non sia ancora stato pienamente studiato, è evidente che sempre più medici stanno adottando questa tecnologia.

Un’indagine condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità presso il Politecnico di Milano ha rivelato che il 42% dei medici utilizza WhatsApp per comunicare con i propri pazienti, e il 29% ha l’intenzione di farlo in futuro anche se attualmente non lo fa.

Negli ultimi anni si è passati da un rapporto asimmetrico tra medico e paziente, caratterizzato da distacco e divisione dei ruoli, a un momento di confronto grazie all’uso di WhatsApp. Questa evoluzione è stata alimentata da informazioni costruttive e talvolta fuorvianti, portando a un dialogo costante nel tempo.

 

Vantaggi e svantaggi

L’impiego di WhatsApp offre diversi vantaggi, almeno sulla carta. Oltre a semplificare la comunicazione tra medico e paziente, la facilità d’uso potrebbe promuovere la continuità della relazione.

Questo approccio potrebbe risultare particolarmente utile per i pazienti con patologie croniche che richiedono cure prolungate o frequenti ospedalizzazioni.

Tuttavia, esistono anche potenziali rischi associati all’utilizzo di WhatsApp.

Un problema chiave è la tutela della privacy. WhatsApp, pur offrendo uno spazio per comunicazioni personali e professionali, può portare a disseminazione non controllata di informazioni personali. Gli utenti possono condividere involontariamente dati sensibili come l’immagine del profilo, lo stato di messaggio, l’ora dell’ultimo accesso e la situazione di stato. Questi dati possono rivelare abitudini personali e creare un falso senso di confidenza o un controllo indesiderato.

 

Una possibilità che non deve sostituire l’interazione fisica

Anche se WhatsApp può offrire un supporto prezioso, non dovrebbe mai sostituire l’interazione fisica tra medico e paziente. I medici devono chiarire ai pazienti che i consigli terapeutici tramite l’app non possono prescindere da una valutazione clinica completa e da un contesto adeguato.

In sintesi, WhatsApp sta diventando uno strumento sempre più utilizzato da medici e pazienti nel settore sanitario. Tuttavia, l’uso corretto e responsabile di questa tecnologia è essenziale per evitare rischi e problemi etici. I medici dovrebbero essere consapevoli dei doveri e delle responsabilità associati all’uso di WhatsApp nella pratica medica, garantendo sempre il rispetto della privacy dei pazienti e la qualità delle cure.

 

Le indagini dell’ICO

Informazioni riservate dei pazienti sono state condivise su WhatsApp da almeno 26 membri del personale medico in oltre 500 occasioni documentate. Attraverso l’app di Meta, sono stati inviati nomi, indirizzi, foto, video e screenshot, che contenevano dettagli clinici delle persone coinvolte. Inoltre, sono stati divulgati in modo non autorizzato dati personali a un individuo estraneo al personale medico, il quale era stato erroneamente aggiunto al gruppo.

Questa situazione è stata portata all’attenzione dell’Information Commissioner’s Office (ICO), l’autorità britannica per la protezione dei dati, che ha richiamato l’ente responsabile della fornitura di servizi sanitari (NHS Lanarkshire). L’organizzazione sanitaria assiste più di 652.000 persone che risiedono nelle regioni di North Lanarkshire e South Lanarkshire in Scozia.

Sebbene in Scozia l’utilizzo di WhatsApp sia stato autorizzato per i dipendenti del servizio sanitario al fine di scambiare informazioni di base, non è consentito l’utilizzo per condividere dati sensibili, specialmente informazioni relative alla salute dei pazienti.

 

Whatsapp sì, ma con regole precise

L’indagine condotta dall’autorità britannica per la protezione dei dati ha rilevato che quando WhatsApp è stato reso disponibile al personale medico, l’ente sanitario non ha fornito linee guida chiare e politiche di tutela della privacy. Di conseguenza, non è stata effettuata una valutazione adeguata dei potenziali rischi legati alla condivisione dei dati dei pazienti attraverso l’app di messaggistica.

Sebbene il servizio sanitario scozzese non sia stato ancora sanzionato, dovrà adeguarsi a una serie di disposizioni e raccomandazioni emesse dall’autorità britannica. Il Direttore dell’ICO, John Edwards, ha enfatizzato chiaramente: “Riconosciamo che l’NHS Lanarkshire, come tutte le organizzazioni sanitarie, abbia affrontato notevoli sfide durante la pandemia. Tuttavia, non ci sono scuse per trascurare la protezione dei dati. Le informazioni dei pazienti sono estremamente delicate e richiedono una gestione attenta e sicura. Quando le persone accedono a servizi sanitari essenziali e altre risorse vitali, devono poter avere fiducia nella sicurezza dei propri dati.”

 

L’utilizzo di Whatsapp in ambito sanitario in Italia

Anche in Italia, WhatsApp è diventato il principale mezzo di comunicazione tra i professionisti del settore sanitario, con l’84,3% dei medici che lo utilizza. Solo il 14,5% utilizza Telegram o Messenger, come ha rivelato un sondaggio condotto dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Firenze in collaborazione con il laboratorio universitario DataLifeLab.

Va ricordato che durante il periodo di lockdown, il Garante della Privacy italiano ha approvato l’uso della dematerializzazione delle ricette tramite canali digitali, sottolineando la necessità di adottare misure tecniche e organizzative adeguate a garantire il rispetto del GDPR.

Nel suo parere, l’Autorità italiana ha approvato l’uso di canali digitali come il portale del Sistema di Accoglienza Centrale (SAC), il Fascicolo Sanitario Elettronico, l’email e gli SMS. Tuttavia, non ha menzionato WhatsApp e altre app di messaggistica, poiché tali strumenti, sebbene pratici e veloci, sollevano questioni più complesse sulla protezione dei dati personali e richiedono ulteriori valutazioni prima di essere adottati su larga scala dai professionisti sanitari.

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