I dati biometrici – impronte digitali, riconoscimento facciale, iride – stanno rivoluzionando il nostro modo di interagire con la tecnologia, grazie alla loro unicità e affidabilità. Utilizzati per autenticazioni sicure e rapide, offrono vantaggi significativi rispetto a sistemi basati su password.
Tuttavia, proprio la loro immutabilità rende i dati biometrici particolarmente sensibili: se compromessi, non possono essere “resettati” come una password, con conseguenze permanenti per la privacy dell’individuo. Inoltre, possono rivelare informazioni ulteriori, come origine etnica o stato di salute, esponendo a rischi di discriminazione e profilazione. La loro natura intrusiva solleva così interrogativi profondi su dignità e diritti fondamentali.
Il quadro normativo europeo e le divergenze nazionali
Il GDPR classifica i dati biometrici come “categorie particolari” di dati personali e ne vieta il trattamento salvo specifiche eccezioni, come il consenso esplicito. Ma l’applicazione pratica varia tra gli Stati membri. La Germania adotta strumenti digitali avanzati per l’identità, mentre la Francia, tramite la CNIL, ha mostrato un approccio restrittivo, sanzionando usi non proporzionati.
In Italia, il Garante ha assunto una linea rigorosa a tutela dei diritti individuali, ma ciò rischia di ostacolare l’impiego di soluzioni biometriche anche in contesti dove sarebbero più sicure di alternative come badge o PIN. L’assenza di basi giuridiche chiare, specialmente in ambito lavorativo dove il consenso non è considerato valido, crea un vuoto normativo che frena l’innovazione.
Verso un equilibrio tra innovazione e diritti
Per superare questo impasse, è necessario un approccio normativo più sfumato, basato sull’analisi del rischio. Ciò significa valutare il contesto, le finalità e le misure di sicurezza per distinguere tra usi ad alto e basso impatto sulla privacy.
Fondamentale è l’adozione del principio di privacy by design, che impone la progettazione di sistemi biometrici con il minimo trattamento di dati, anonimizzazione, controlli di accesso e tecnologie avanzate come template cancellabili o crittografia omomorfica.
Parallelamente, l’autoregolamentazione tramite codici di condotta e standard tecnici (es. ISO/IEC) potrebbe rafforzare la fiducia.
Regolare i dati biometrici richiede competenza e compromesso: è una sfida cruciale per garantire che l’innovazione tecnologica serva realmente il bene comune, senza sacrificare la tutela dei diritti fondamentali.