Il valore della valutazione del rischio: cosa ci insegna il furto al Louvre sulla sicurezza informatica

“Sì, vorrei rubarla, Vorrei rubare quello che mi apparteneva / Sì, vorrei rubarla, nasconderla in una cassa di patate, di patate” cantava Ivan Graziani in “Monna Lisa”, ispirato dal famigerato furto del capolavoro di Leonardo ad opera del decoratore italiano Vincenzo Peruggia.

Ogni anno avvengono furti di opere d’arte per un valore di circa 4-6 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Chissà perché però quando succede al Museo del Louvre, tutti ne parlano. Sarà il fascino romantico del furto d’arte alla “Arsenio Lupin”. Sarà che, considerata l’importanza storica e culturale del Musèe, noi cittadini medi saremmo portati a pensare che questo luogo sia una vera e propria “cassaforte” inviolabile.

Il recente furto del 19 ottobre però ha dimostrato che bastano pochi minuti per rubare, in pieno giorno e in piena vista, gioielli di epoca napoleonica dal valore inestimabile.

 

Dai tesori artistici ai tesori digitali

 

Così come i musei proteggono capolavori, anche le aziende custodiscono i propri tesori digitali — dati personali, know-how, reputazione. L’utente finale, l’ultimo anello della catena, confida che tutte queste informazioni siano al sicuro dalle minacce esterne.

Si tratta di un fragile equilibrio fra consumatore e fornitore di servizi: il primo si affida, il secondo dovrebbe custodire e proteggere.

Ma cosa succede quando questo equilibrio si rompe?

Forse è meno plateale di un furto di opere d’arte; tuttavia ci coinvolge in prima persona. Secondo i dati del rapporto Clusit 2025 infatti, in Italia negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento del 56% degli incidenti cyber.

 

L’importanza della gestione del rischio

 

Tutti sappiamo i danni causati da un data breach, soprattutto per le conseguenze reputazionali ed economiche che potrebbero derivare all’azienda che lo subisce.

Eppure, spesso, la protezione di questi dati è lasciata a strumenti standard, senza una reale valutazione dei rischi cyber aggiornata e consapevole.
Un firewall non basta se non si conoscono le proprie vulnerabilità.
Una policy non serve se le persone non sono formate a riconoscere le minacce.

La sicurezza, oggi, non è un prodotto: è un processo continuo di analisi, aggiornamento e risposta.

Proprio come un museo revisiona costantemente i suoi sistemi di sicurezza, anche le aziende devono chiedersi dove si trovano le proprie “porte secondarie” — quelle che un attaccante potrebbe usare per entrare inosservato.

Il furto al Louvre ci ricorda che nessuna difesa è perfetta, ma una consapevolezza del rischio può fare la differenza tra una perdita e una prevenzione.

Vale la pena chiederselo: la vostra azienda saprebbe riconoscere il suo “quadro più prezioso”? E soprattutto, saprebbe proteggerlo?

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