Quando ad aprile il Google Play Store ha iniziato a imitare le etichette della privacy di Apple nessuno si aspettava che questo avrebbe reso le cose ancora più confuse.
La nuova sezione sulla privacy dei dati, come quella di Apple, da questo momento si affida soltanto sulle informazioni fornite dagli sviluppatori che, nel compilare il modulo appropriato, decidono quindi autonomamente quali informazioni comunicare, dichiarando cioè quali dati vengono raccolti dalle loro app e come vengono impiegati.
E se è vero che Google comunque esamina le applicazioni per accertarsi che rispettino le norme del negozio, non prenderà comunque decisioni per conto degli sviluppatori riguardo a come vengono gestiti i dati degli utenti.
«Solo gli sviluppatori possiedono le informazioni necessarie per completare il modulo sulla sicurezza dei dati»
scrive l’azienda nella documentazione, accennando al fatto che prenderà le «azioni appropriate» qualora dovesse rilevare discrepanze tra quel che viene dichiarato dallo sviluppatore e quel che accade in realtà.
Come fa notare Mishaal Rahman è quel che farebbe anche Apple con l’App Store da quando ha lanciato le etichette per la privacy, richiedendo cioè agli sviluppatori di inviare «riepiloghi autodichiarati» relativi alle pratiche sulla privacy delle loro applicazioni. Facendo però affidamento ai soli sviluppatori riguardo la fornitura delle informazioni reali sui dati raccolti dalle loro app, come evidenzia un rapporto del Washington Post vien fuori che, nel caso di Apple, queste informazioni sarebbero spesso «fuorvianti o del tutto imprecise».
Con Google la situazione è ancora peggiore perché pare che l’azienda abbia silenziosamente sostituito la nuova sezione a quella che raccoglieva le autorizzazioni delle app generate automaticamente dal sistema. Nel confronto fotografico pubblicato da Rahman su Twitter si può vedere come appariva la vecchia sezione denominata Autorizzazioni e come vien fuori invece adesso la nuova sezione chiamata Sicurezza dei dati.
Il cambiamento per il momento non sembra essere irreversibile perché se si usa Aurora, l’alternativa open source al Play Store, è ancora possibile leggere le autorizzazioni prima di scaricare le app. Secondo alcuni avrebbe avuto più senso che Google avesse continuato a visualizzare sia le autorizzazioni che la nuova sezione privacy, in modo tale da permettere agli utenti di confrontare entrambe le schede e scoprire se sono coerenti con quanto dichiarano, tuttavia per il momento pare che Google non preveda di ripristinare la sezione relativa alle autorizzazioni dell’app.