Sentenza della Corte UE: diritto alla Privacy e trasparenza amministrativa devono essere conciliati

Una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea affronta uno dei temi più delicati dell’era digitale: come bilanciare il diritto dei cittadini alla trasparenza nella pubblica amministrazione con quello alla tutela dei dati personali.

La vicenda (causa C-33/22) ha avuto origine nella Repubblica Ceca durante l’emergenza Covid-19, quando un cittadino aveva richiesto al Ministero della Salute documenti relativi all’acquisto di test diagnostici. Il Ministero aveva effettivamente fornito i documenti, ma con alcune informazioni oscurate, come nomi, indirizzi email e firme, giustificando la scelta con il rispetto del GDPR e la difficoltà di informare preventivamente gli interessati.

I giudici cechi si sono rivolti alla Corte UE per chiarire due punti fondamentali:

  • I dati come nomi e email, utilizzati in contesti lavorativi, rientrano comunque nella categoria dei dati personali?
  • È legittimo che una normativa nazionale imponga l’obbligo di informare gli interessati prima di consentire l’accesso a tali dati?

 

 

La risposta della Corte: dati personali anche in ambito professionale

La Corte ha dato una risposta netta: sì, anche i dati impiegati professionalmente restano dati personali. Tuttavia, ha sottolineato che la protezione della privacy non può trasformarsi in un ostacolo eccessivo alla trasparenza. Le normative nazionali possono introdurre garanzie, ma devono sempre rispettare il principio di proporzionalità.

Ciò significa che ogni richiesta va valutata caso per caso. Se la divulgazione delle informazioni è giustificata da un interesse pubblico superiore – come la verifica dell’uso di risorse pubbliche o l’individuazione di responsabilità – allora è possibile rendere accessibili anche dati personali, a patto che:

  • Sussista la possibilità di informare i soggetti coinvolti;
  • Avvenga una valutazione dei potenziali rischi per la loro privacy;
  • L’interesse pubblico risulti chiaramente prevalente e ben documentato.

Un esempio concreto: in un’indagine su un programma sanitario statale, potrebbe essere indispensabile sapere chi – ad esempio un medico – ha firmato un documento clinico, purché vengano rispettate le tutele previste. Il GDPR, infatti, non impedisce la diffusione di questi dati, ma richiede una valutazione equilibrata tra diritti contrapposti.

 

 

Un nuovo equilibrio tra diritti digitali

Questa sentenza avrà un impatto pratico significativo. Le amministrazioni pubbliche saranno tenute a:

  • Giustificare le scelte fatte in merito alla pubblicazione o all’oscuramento dei dati;
  • Documentare attentamente il processo decisionale;
  • Dimostrare di aver provato a contattare i soggetti interessati.

Per cittadini e giornalisti, questa decisione apre la strada a un accesso più ampio a informazioni di interesse pubblico, purché supportato da motivazioni valide. La Corte promuove una nuova visione della trasparenza, in cui la privacy non sia pretesto per nascondere informazioni, ma si affermi come diritto da bilanciare in modo responsabile con l’esigenza di trasparenza. L’obiettivo è superare l’idea che ogni dato personale sia automaticamente riservato, favorendo invece un approccio più evoluto, dove trasparenza e protezione dei dati coesistano come diritti che si integrano a vicenda.

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